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venerdì 15 maggio 2009

IN ITALIA I GIOVANI SONO UN PROBLEMA?

Scusate ma oggi sono arrivata al limite.
Vi faccio presente che io ho meno di trent’anni e vorrei sapere per quale strano motivo sembra che nel nostro paese finchè almeno non ne hai 45 di anni non puoi produrre idee o progetti o fare proposte. La cosa più frustrante è che non vengono valutate le tue proposte e magari giudicate sbagliate ma sono costantemente ignorate perché a partorirle è la mente di una persona giovane perciò per la comunità non in grado di intendere, volere né esprimere esigenze o giudizi. Per la nostra società le mie idee, i miei problemi ( e quando parlo di me intendo tutta una generazione di trentenni, ventenni e anche un po’ i quarantenni) devono essere espressi da chi è più grande di me, che si fa carico di combattere, ma solo per finta, le battaglie per me.
Vi faccio un pratico esempio: come può un governante, un sindacalista anche solo un semplice sindaco, i quali nel 99% dei casi devono avere almeno 50 anni per effetto di una legge non scritta ma comunque imposta dalla società, sapere cosa vuol dire vivere con l’angoscia dei contratti a termine, essere un ricercatore e prendere meno di un operaio, non potersi costruire una famiglia sino ai trent’anni, vedere i tuoi coetanei che si sono fermati negli studi alla terza media che hanno una situazione economica migliore della tua che ti sei laureato e continui a lavorare praticamente gratis perché devi sempre e comunque farti esperienza, pensare a doverti fare un piano integrativo di pensione perché chissà a noi che rimarrà. Queste situazioni chi ci governa, a tutti i livelli, non le ha provate! Anzi ce le ha create! Inoltre pretendono, anche, che noi ce ne stiamo tranquilli a subire, fiduciosi, che chi ci ha messo nella MERDA ce ne tiri fuori. A noi cosa chiedono: 1) devi fare esperienza quindi è giusto che tu sia poco pagato 2) caro mio con il tuo lavoro intanto paga le nostre pensioni alla tua forse ci penseremo 3) qualsiasi idea tu abbia non importa non sei ancora abbastanza vecchio per esprimerla…..ecc …. In una parola scusate la volgarità ma il concetto è PIEGATEVI A NOVANTA E SUBITE!
Io credo che in questo ci sia un forte squilibrio perché se noi giovani non siamo in grado di poter decidere per la società, che sulle nostre risorse si regge allora, credo che non siamo neanche in grado di mantenerla. Come non siamo in grado di decidere perché dovremmo essere in grado di lavorare e produrre. Se avere un’ età avanzata e l’esperienza sono le caratteristiche più importanti dell’esistenza perché non cominciamo a lavorare dai 45 anni e finiamo a 90, perché non facciamo i figli a 50 anni.
La natura è certo molto più sveglia della nostra società: ci ha programmato non per vivere a lungo ma perché nella giovinezza potessimo portare a termine il compito che più le stava a cuore, continuare la specie, e per fare questo ci ha dotati dell’energia, della creatività e anche di una certa dose di incoscienza tutte cose senza le quali l’uomo non avrebbe mai rischiato nulla e probabilmente non avrebbe scoperto nemmeno il fuoco. Agli anziani, in natura, è richiesto di conservare la memoria, dare i consigli ma a guidare il branco lascia il più forte, il più giovane.
Molte delle menti più brillanti hanno fatto le loro scoperte entro i trent’anni, lo stesso Einstein ha elaborato la Teoria della Relatività tra i 26 ed i 34 anni, Leopardi è morto a 39 anni, Raffaello a 37, Michelangelo ebbe lunga vita ma operò la sua rivoluzione pittorica sin da giovanissimo, Mozart morì a 35 anni e tanti altri. Nessuno di loro ha espresso la propria genialità a 50 anni. Negli Stati Uniti un ricercatore a 40 anni è già vecchio, viene “rottamato” perché si ritiene che ormai il meglio di se l’abbia già dato.
L’ultima mia riflessione è questa: i nostri nonni hanno lasciato ai nostri genitori un paese migliore, i nostri genitori, con noi, non stanno facendo altrettanto! Fatevi un esame di coscienza riconoscete di essere stati, almeno in parte, incapaci e dateci la possibilità di riparare ai vostri errori e di creare condizioni migliori per noi e i nostri figli.

12 commenti:

Giordano Dossi ha detto...

Hai perfettamente ragione, noi giovani non siamo spesso considerati dalla società e dalla classe dirigente che essa esprime.

Io credo che ciò sia dovuto a 3 fattori:

1. La popolazione italiana è composta prevalentemente da anziani, il rapporto tra over 60 e under 30 è sempre più sbilanciato, se aggiungiamo poi una certo egoismo imperante nella nostra società, capiamo che chi non è più giovane s'interessa poco delle problematiche della nostra generazione.

2.La classe dirigente Italiana è composta, nel migliore dei casi da cinquantenni, poco spazio è concesso ai quarantenni ed ai trentenni, figuriamoci ai ventenni. La visione dell'attuale ceto politico (liste civiche non esenti), manca di lungimiranza, forse perchè è più impegnato a inseguire i sondaggi ed a pensare a raccattare qualche voto qua e là, che non a progettare con lungimiranza il futuro della nostra società.
Ecco quindi che ci si trova ad inseguire i voti dei pensionati che costituiscono un grande bacino elettorale e si riversano risorse ed attenzioni verso di loro, trascurando le nuove generazioni.



3. I giovani invece d'impegnarsi attivamente nella società e quindi nella vita politica e sindacale, si mostrano spesso rassegnati ed in taluni casi indifferenti a tutto, come se la vita fosse determinata dal puro caso, e subentra una visione fatalista.

Proprio domenica scorsa mi sono trovato a dover rispondere ad una signora che in merito ad una candidatura, faceva notare che la ragaza era troppo giovane per fare il sindaco. La mia risposta è stata chiara, il rinnovamento parte dai giovani, e dal ricambio, ora più che mai necessario, della classe dirigente. Citavo tra gli altri l'esempio di Gramsci, che pur essendo giovanissimo aveva capacità, intellettuali, sicuramente maggiori ai più dei nostri attuali politici. RIMBOCCHIAMOCI LE MANICHE E CONTINUIAMO IL NOSTRO PERCORSO, IL FUTURO SIAMO NOI, RIPRENDIAMOCELO.

Stefano ha detto...

Non posso che concordare con entrambi. Ci sarebbero cose da aggiungere ma il discorso sarebbe forse troppo lungo.
Restringendo invece il campo alle nostre "piccole" elezioni comunali questo problema è palese in 4 liste su 5.
I candidati sindaci di 4 liste sono cariatidi che si portano molti giovani dietro dicendo (mercoledì tutti l'hanno detto) che sono il futuro del paese.... ma una cosa cari Lazzari, Colosini, Verona e Reboldi: il fututro sta d'avanti o dietro?
Che si concordi o meno con il programma o il partito, do merito a Chiara Delorenzi e al PD di Gussago perchè i "vecchi" stanno dietro. Tutti sappiamo che Chiara abbia meno esperienza degli altri, ma potrebbe anche avere la genuinità del giovane che non è bloccato su idee vecchie. Metterebbe penso in comune le sue idee giovani con le sue retrovie "esperte" e da li potrebbe uscire un qualcosa di buono. (sperando che la DC delle su retrovie non si metta troppo in mezzo alle sue ruote)
Perchè è questo il sistema giusto non il contrario. Questa è almeno la mia idea politica.
Siamo nel 2009.... le cose sono cambiate molto negli ultimi anni sia su profilo tecnologico che sul profilo umano, molto più che nelle generazioni scorse. O comunque corrono più veloci di prima. E chi è partecipe di questi cambiamenti? Chi riesce a stare al passo con i cambiamenti tecnologici e multi-etnici del momento? Una ragazza che fa ricerca in università (con la pessima situazione che ci troviamo) in una città viva come Milano, oppure dei pensionati (per quanto possano essere autorevoli) di un paese della provincia bresciana?
Mercoledì all'incontro - scontro dei candidati lo si è capito benissimo.
In tre non sono stati capaci di comunicare nulla. Certo hanno parlato, ma non hanno comunicato con la gente. Un'altro ha comunicato si, anche molto bene, ma con velo di nostalgia troppo grosso e pesante sul passato.
Uno solo dei candidati ha comunicato direttamente, chiaramente, semplicemente e si è fatto capire. Da tutti e anche dai noi trentenni che ascoltavamo. Uno solo di questi 5 candidati è riuscito a mio avviso a migliorare la propria esposizione in 2 settimane. Indovinate quale? Gli altri? Uguali e sempre gli stessi. Vecchi!
Loro stessi hanno voluto dire da quanto tempo provano a candidarsi o da quanto tempo sono sulla poltroncina. Per come la penso io (giovane 34 enne) questo non gioca a loro favore... assolutamente.
Vero è, come dice Giordano, che molti dei non più giovani di Gussago guardano la giovane candidata come l'inesperienza che deve aspettare ancora del tempo per fare qualcosa come front-man di una lista elettorale.

Con questo non voglio fare campagna elettorale per nessuna delle liste, ma parlo dei candidati come persone fisiche, cercando di estrapolarli dai loro programmi e cerco solamente di dare forza allo sfogo di Rossy, spalmando il problema su un tema attuale come le amministrative a Gussago.

Mauro Caliendo ha detto...

Al di là del fatto che, per conto mio i "vecchi" (e non parlo solo di un fattore anagrafico, visto che conosco ventenni molto più "antichi" di certi 60-70 enni), occorrerebbe non averli nè davanti nè dietro (anzi, in retrovia possono essere anche più pericolosi...)ma, casomai, se hanno qualcosa ancora da dire e da dare (alle volte succede)sarebbe meglio averli "a fianco" purchè siano abbastanza intelligenti da essere davvero disposti a mettersi al servizio delle giovani generazioni (e questo è, in effetti, molto più difficile)....Mi permetto di segnalare due libri che, almeno per il sottoscritto, sono stati assai "illuminanti" sull'argomento (scritti da persone giovani....dentro!!!): "Contro i Giovani" di Tito Boeri e "Meritocrazia" di Abravanel.
Un saluto.

Anonimo ha detto...

ma mi sembra che in tutti questi blog alla fine si finisce sempre in campagna elettorale peccato era una buona idea si e trasformata in fallimento
roby

stefano ha detto...

caro Roby,

nessuna campagna elettorale visto che ti riferisci a me, ma se così la vuoi vedere ok.
Non capisco perchè se si fa riferimento a questo o quella formazione politica (qui in vesti di puri e meri esempi almeno nel mio commento) si parli sempre e solo di campagna elettorale. Volevo solo fare un esempio pratico ed attuale a noi vicino. Punto.

Stefano

Anonimo ha detto...

...è vero personalmente tifo per i giovani, ma anch'io mi trovo persone di ottantanni, sessantacinque settanta, gia pensionati che però stanno ancora nel mondo del lavoro e pretendono di comandare...i giovani. Ma questi sono stati "programmati" nell' "epoca" di cui hanno fatto parte e la novità no la porteranno mai e poi mai...tutt'altro discorso è la considerazione che questi zombi possono avere dalle generazioni nuove, magari rispetto se si dimostrassero veramente SAGGI, ma il loro comportamento non li rende davvero tali...io leggo negli occhi di ragazzi di 20anni che lavorano con questi zombi, una certa rassegnazione data dalla consapevolezza della loro precarietà, sempre soggetti ad un paragone e se le cose vanno male che ne fa le spese? non l'ottantenne ritenuto pieno di "esperienza" che da la sua preziosa "consulenza", ma il ventenne che non riesce nemmeno ad imparare anche se ne ha tutta l'intenzione....MA NON SE NE VOGLIONO PROPRIO ANDARE, CI HANNO PRESO TUTTO E SI SONO RIPRESI TUTTO....

Anonimo ha detto...

Avvertenza alle stimate lettrici e agli stimati lettori del blog: non ho lesinato sul numero dei caratteri di questo commento, la cui estensione perciò ha comportato uno spezzettamento in più parti.
Io vi ho avvertito! Se intendente proseguire comunque con la lettura, concedetevi qualche minuto di tempo.

Confesso di essermi ultimamente soffermato varie volte a riflettere sull’accorato messaggio postato dalla gentile Rossy.
Altrettanto spesso ho cominciato ad abbozzare tentativi di risposta, che purtroppo, fino ad oggi, si sono esauriti in un vago ed indefinito incipit.
Ma la gravità delle considerazioni, l’enorme portata dei problemi, dei drammi sociali, delle storture denunciate in quello scritto impongono a qualsiasi lettrice o lettore di assumere una posizione in merito.
Cerco dunque di raccogliere in qualche modo il grido di sconforto, anzi di sana e comprensibile rabbia lanciato sulle pagine di questo blog dalla signora\ina Rossella.
Però anch’io, al pari del lettore firmatosi Roby, non posso mancare di notare la marginalità, se non addirittura l’assenza, nelle considerazioni svolte da Rossy, di qualsiasi riferimento alle mere vicende spicciole nelle quali sono stati coinvolti, durante la campagna elettorale, e sono tuttora coinvolti i partiti e le forze politiche attive a Gussago, compresa quella di cui faccio parte.
Tuttavia, poiché altri, in particolare Stefano, fondatore di questo spazio ‘virtuale’ di confronto, hanno applicato i giudizi sulla “questione giovanile” alla politica locale, non ritengo di potermi esimere dall’aggiungere qualche breve valutazione sul punto.
Le mie personali valutazioni, riferite nello specifico al gruppo “Sinistra a Gussago” nel quale milito, saranno presentate al termine di questo commento, in modo da permettere una facile selezione a coloro i quali fossero eventualmente interessati a leggere in maniera esclusiva argomenti di carattere generale.

Anonimo ha detto...

Dunque, tornando alla sostanza dei problemi affrontati dalla gentile Rossy, mi permetto di esprimere l’apprezzamento per una ed al contempo la mia contrarietà per un’altra delle importanti, centrali problematiche toccate dall’articolo postato sul blog: la prima consistendo nella contestazione della sempre più strisciante precarizzazione del lavoro, la seconda invece riguardando un presunto conflitto generazionale di cui sarebbe effetto l’esclusione delle giovani e dei giovani da qualsiasi processo decisionale nel nostro malandato Paese.
Tutto intero il mio favore e la mia condivisione, per quanto possano contare, va alle accuse pronunciate nei confronti della precarietà delle forme di impiego, ormai diffusissima nelle fasce di lavoratori giovani, ma non solo.
Fa sinceramente male dover ammettere che al progressivo smantellamento delle tutele dei lavoratori abbiano concorso, dalla prima metà degli anni Novanta in poi, alcune delle menti più brillanti del panorama giuslavoristico italiano: dal professor Biagi, anche per questo caduto sotto i colpi di deliranti eredi delle Br, al professor Treu, noto soprattutto per gli importanti incarichi ministeriali ricoperti in governi di centro sinistra.
La profusione di tanta intelligenza ha condotto però a risultati pessimi, provocando vere e proprie devastazioni nel tessuto sociale del nostro paese.
Quello che già quindici-sedici anni fa veniva paventato solamente e solitariamente dai partiti della sinistra progressista e dai sindacati più accorti, oggi agisce sotto gli occhi e sulla pelle di milioni e milioni di lavoratrici e lavoratori.
E non solo di quelle e quelli che hanno la fortuna – per quanto paradossale appaia qui l’uso di questo termine – di essere nel “fiore degli anni” e di coltivare ancora sogni e speranze.
L’insicurezza, l’insidia di un lavoro precario, l’incertezza nel futuro prossimo colpisce anche e con maggior pena quelle e quelli che, giovani vent’anni fa, ora si ritrovano senza tutele dopo essere rimbalzati da un contratto a termine ad una collaborazione coordinata e così via, al pari di indifese pedine mosse su una mostruosa tavola da “gioco dell’oca”. Senza trascurare coloro i quali, già lavoratori\trici a tempo indeterminato, sono stati espulsi dal mondo del lavoro a seguito di una delle tante ‘riorganizzazioni’ aziendali e tentano disperatamente di conseguire una ricollocazione, come sempre, al ribasso, purchessia, nel miraggio di raggiungere in qualche modo il momento del pensionamento.
La precarietà, cioè fondamentalmente la mancanza di speranza nel futuro, a mio parere, è stata la soluzione ideale fornita da una dirigenza politica prezzolata appositamente ad una classe imprenditoriale in massima parte poco incline ad investire nell’innovazione e nella ricerca, ma prontissima a concorrere verso il basso, agendo sempre e soltanto sulla massima compressione possibile dei costi del lavoro.

Anonimo ha detto...

Una strategia miope e di corto respiro adottata per affrontare le sfide della libera concorrenza sui mercati, dapprima in ambito solo europeo ed ora completamente globale.
Ma ciò, in un paese strutturalmente già funestato dalla piaga di un’abnorme “sommerso”, si è rivelato alla lunga niente affatto remunerativo, poiché nella corsa verso il baratro del ricatto sociale, il datore di lavoro italiano ha trovato in qualsiasi occasione un concorrente cinese, albanese, rumeno (e per carità di patria evito di citare le situazioni di incredibile divario territoriale interno all’Italia stessa) in grado di pagare ancor meno e di sfruttare ancor più coloro ai quali è affidata la produzione di beni e servizi della medesima, solitamente infima, qualità.
La precarietà delle forme di lavoro cosiddette atipiche ha consentito al “padrone” di potersi finalmente far beffe dello Statuto del ’70 e del patrimonio normativo in materia di diritti del lavoratore fino a quel momento storico conseguiti.
La demolizione dei presidi basilari a difesa dei soggetti economici più deboli è stata via via ottenuta senza neppure il rischio di dover affrontare un vasto e ramificato movimento di protesta; semplicemente aggirando la pura e semplice abrogazione delle leggi vigenti a tutela del lavoro, mantenute formalmente in vigore ma a tutti gli effetti sempre più ridotte nel loro ambito applicativo e neutralizzate nella loro potenzialità.
Chi mai oserebbe oggi alzare la testa di fronte ad un sopruso: dal salario all’orario di lavoro, dalle condizioni igieniche del luogo di lavoro al rispetto della dignità personale, eccetera. Chi mai protesterebbe o ricorrerebbe all’assistenza del sindacato (che da sempre soffre dell’incapacità di entrare in forze in quella immensa rete di piccole e piccolissime imprese dalla quale è costituito il nerbo del sistema industriale italiano) nella certezza che il “padrone” solo per questo potrebbe senza preoccupazione alcuna interrompere di netto una delle varie fantasiose forme di collaborazione (bella collaborazione, davvero!) attualmente esistenti oppure limitarsi a non rinnovare il contratto a termine giunto a scadenza.
Ormai viviamo immersi in un’ipocrisia talmente consueta da aver persino dimenticato di scandalizzarci di fronte ai licenziamenti ingiusti, proprio perché, sebbene sotto altro nome, espulsioni dalla categoria degli occupati avvengono ogni giorno, di punto in bianco, senza motivazione alcuna e, per tornare al tema, senza distinzione alcuna per il sesso, le capacità, l’età del lavoratore o della lavoratrice, bensì nel pieno formale rispetto delle leggi, di quelle leggi volute e approvate in questi decenni da chi ha indubbiamente agito dietro mandato e al soldo delle lobbies datoriali.
Abbiamo assistito insomma da parte di certa politica ad una rincorsa alla compressione dei costi del lavoro per garantire ai datori margini di profitto sempre maggiori, nonostante l’ingresso nell’Unione, l’apertura dei mercati, la fine delle condotte concorrenziali sleali o illecite (attualmente contestate alla Cina o all’India, ma sulle quali per mezzo secolo si è retta buona parte del nostro capitalismo: penso ad esempio al dumping salariale, alle manovre sulla svalutazione monetaria, alla contraffazione dei beni, attività in cui l’Italia, non scordiamolo, è tuttora al secondo posto nelle classifiche del Wto. Corsi e ricorsi della storia!) suggerissero semmai ben altre strategie per mantenere l’apparato industriale italiano ad un livello capace di competere con concorrenti stranieri lanciatissimi verso produzioni a sempre maggiore valore aggiunto.

Anonimo ha detto...

Ma la riduzione del costo del lavoro per il “padrone” non è avvenuta soltanto attraverso l’eliminazione dei meccanismi che assicuravano il mantenimento del potere d’acquisto delle classi salariate e la contestuale introduzione di un sistema di rigido controllo e calmieramento sulle politiche dei redditi. A questo si è aggiunta, nello stesso torno di tempo, la spinta man mano più poderosa e tracotante alla precarietà – notato come quasi nessuno impieghi più il termine ipocrita di “flessibilità”? – del lavoro; ma la possibilità di assumere subalterni e di potersene sbarazzare altrettanto facilmente ha comportato ingenti risparmi per il capitale anche sul fronte dell’adozione di tutte le altre tutele che al lavoro fanno, anzi facevano da corollario: ferie, permessi, distacchi, maternità, malattia, contributi sociali, pensionistici, sanitari, sicurezza e igiene dei luoghi di lavoro, eccetera eccetera.
Ovviamente l’incremento incontrollato del potere contrattuale delle parti datoriali, se ha ingigantito i profitti privati di queste ultime, ha sull’altro versante alimentato la curva ascendente dei costi collettivi di tale situazione.
Asfissia del mercato di consumo interno per mancanza di reddito, assenza di un indispensabile sistema di formazione continua per chi passi da un lavoro ad un altro di tipo magari diversissimo, crescita delle malattie e degli infortuni sui luoghi di lavoro i cui costi indotti (cure mediche, degenze ospedaliere, rendite da invalidità permanente, …) rimangono a carico della spesa pubblica.
E pure le difficoltà incontrate quotidianamente dalle\i giovani precari – questo sì rappresenta un gravissimo problema proprio di un’intera generazione – nel rendersi indipendenti e nell’aprire una prospettiva futura alla società, mi riferisco in pratica all’acquisto di un’abitazione e nella costituzione di una famiglia, alla lunga confermano lo sbilancio di proterve scelte politiche a favore di ristrette classi sociali a scapito dell’intera collettività.
Chi, sempre per l’incertezza nelle risorse future, è costretto a rimandare a lungo l’appuntamento con la paternità e la maternità o addirittura a rinunciarvi, rende prima o dopo insostenibile l’intero apparato di tutela solidale connaturato ad un Paese dotato di Welfare State, in primis sotto l’aspetto delle pensioni per quanti abbiano lavorato e non siano più in grado di farlo.
Il peggio di tutto, però, a mio giudizio rimane l’indifferenza, la sopportazione, la tolleranza fino ad oggi dimostrata proprio dalle vittime della precarietà per una situazione di cui non si vede lo sbocco e che minaccia di essere superabile soltanto mediante l’esplosione violenta del conflitto sociale, quando l’esasperazione delle masse sottopagate e sfruttate raggiungerà il punto di rottura.
Per le ragioni sin qui enumerate e per le centinaia d’altre che la memoria, lo spazio a disposizione, il pericolo di annoiare allo stremo eventuali lettori mi suggeriscono di tralasciare, respingo la chiave di lettura su cui il messaggio della gentile Rossella appare impostato, cioè il conflitto generazionale.

Anonimo ha detto...

Se la precarietà del lavoro e conseguentemente delle aspettative per il futuro miete gioco forza vittime soprattutto fra le fasce di età meno avanzate (ma non solo), lavoratrici e lavoratori apparentemente in condizioni più stabili e addirittura le\gli ex lavoratrici\tori in stato di quiescenza quotidianamente incontrano lo spettro di una involuzione drammatica della propria situazione sociale, in termini di garanzia del posto, di mantenimento dei livelli di reddito e del potere d’acquisto, di protezioni sociali nel campo dell’assistenza sanitaria o altro.
Come ho cercato di spiegare sopra, a mio parere la sottovalutazione, quando non addirittura la totale mancanza di riconoscimento nelle capacità dei dipendenti più giovani (ma lo stesso accade anche ai colleghi più maturi), rappresenta l’effetto inevitabile di una rincorsa al lavoratore meno caro o anche soltanto meno ‘piantagrane’ (il che per molti datori di lavoro è uguale), accompagnata dal disinvestimento sulla qualità del lavoro.
E le pensioni, di cui pure Rossy ha parlato, si ergono in modo paradigmatico a mostrare come un problema, di per sé reale, venga affrontato dai tanti Cerberi che di volta in volta assumono la veste degli intransigenti guardiani dei bilanci (salvo poi aprire generosamente i cordoni della borsa ‘pubblica’ quando a batter cassa sono gli amici e gli amici degli amici).
Il problema viene risolto con misure sempre più vessatorie nei confronti sia di chi è già in pensione sia, soprattutto, di quanti alla pensione aspirano o addirittura hanno già rinunciato ad aspirare, appunto giustificando qualsiasi scelta di macelleria sociale con il ricorso al conflitto tra generazioni, attizzando quindi l’ennesima “guerra fra poveri”.
Qui però non può, non deve valere il detto “mal comune, mezzo gaudio”. Dunque quale soluzione ricercare di fronte a tanta devastazione morale, culturale, sociale?
Be’, secondo me rappresenterebbe già un passo notevole -– e dirlo provoca un certo sco-ramento- – prendere coscienza, ciascuno di noi, della disastrosa situazione sociale alla quale ci hanno portato anni e anni di scollamento fra un’opinione pubblica sempre più indolente, indifferente, sfiduciata nella propria forza e nelle proprie capacità ed una classe politica in buona parte arroccata in posizioni di privilegio (senza alcuna distinzione d’età), la quale, ben percependo la profonda vena di sana incazzatura che percorre la società, si agita esclusivamente per tentare di eternare se stessa.
E in tema di politica credo sia giunto il momento di adempiere alla promessa fatta all’inizio di questo non breve scritto: esprimere la mia opinione sulla “questione giovanile” applicata alla campagna elettorale amministrativa da poco conclusa.
Io faccio parte del gruppo della “Sinistra a Gussago” e proprio questa forza ha concorso alle elezioni comunali presentando quale proprio candidato sindaco Carlo Colosini, appunto il più anziano fra le\i cinque candidati in lizza.
Eppure rimango decisamente convinto che questa non sia stata affatto una scelta capace di indebolirci, tutt’altro.
Ribatto immediatamente all’osservazione, sviluppata da Rossy e di seguito ripresa in altri commenti al suo intervento, circa una presunta (biologica) impossibilità per una persona over40, 50, 60 di poter interpretare e far fronte ai bisogni di concittadine\i più giovani.
Innanzitutto chi potrebbe definire realisticamente le fasce d’età entro le quali è possibile intrattenere un dialogo costruttivo fra persone capaci di intendersi? Persisto nell’idea sia più facile un’intesa fra due operai di età distantissima, che non fra un operaio ed un imprenditore entrambi venticinquenni.
Se poi volessi polemizzare, potrei eccepire, seguendo il medesimo ragionamento svolto dai cari amici lettori, che una persona residente in un paese diverso da Gussago sarebbe impossibilitata a comprendere, non vivendoli sulla propria pelle, i problemi e le potenzialità della nostra cittadina.

Anonimo ha detto...

Ma, come ho dichiarato, respingo risolutamente considerazioni di questo tipo: secondo me è la propria personale sensibilità, esperienza, cultura e conoscenza a rendere capaci di affrontare questioni che coinvolgono categorie diverse di uomini e donne, singolarmente o collettivamente presi.
Inoltre la visione di Rossana e di Stefano pecca in difetto. Sebbene la vigente legge elettorale sia indiscutibilmente tesa a privilegiare la figura ed il ruolo del candidato sindaco, non possiamo dimenticare come accanto a questo agisca un gruppo di persone, di cui i candidati consiglieri sono spesso soltanto una parte.
Proprio in questo solco la “Sinistra a Gussago” ha voluto condurre la propria campagna elettorale, proponendo candidate e candidati di svariata estrazione e di età diverse, maschi e femmine, tutte e tutti coinvolti nella formulazione del programma infine sottoposto al vaglio degli elettori gussaghesi, programma frutto del contributo di tutte e tutti e di discussioni più o meno prolungate fra tutte e tutti.
Un sindaco non è un principe solitario e autoritario, per quanto forse a quest’ultima immagine ci abbia abituato un certo modo di far politica (in anni recenti, se mi è concesso, invalso anche dalle nostre parti). Egli o ella è un compagno o una compagna – l’espressione non vuole in questo caso connotare in senso ‘socialisteggiante’ il discorso – ritenuto\a maggiormente dotato\a ed autorevole (qualità ben diversa dall’autoritarismo) dalle amiche e dagli amici che lo o la accompagnano nel percorso politico; per lo meno questo è quanto avvenuto nella nostra associazione.